Francia: ecco come l’establishment ha contenuto le perdite

Il tremore a Bruxelles per tutto il periodo che ha preceduto questo primo turno di elezioni francesi è cosa piuttosto nota. Leader conservatori e anti-sistema di tutta Europa hanno considerato – giustamente – le consultazioni transalpine come un possibile spartiacque della storia comunitaria. In caso di vittoria di Marine Le Pen, per l’Europa non ci sarebbe stato scampo, stavolta nel vero senso della parola.

Il risultato del voto, con la candidata del Front National appollaiata ad Emmanuel Macron del neonato partito En Marche!, è un sospiro di sollievo per molti sostenitori dell’europeismo. Che la Le Pen non potesse vincere era però una cosa piuttosto prevedibile. Come per le consultazioni locali del 2014, in molti erano ben consci che ci sarebbe stata un’alleanza al ballottaggio tra i gollisti e i socialisti in funzione anti-Front alla seconda tornata (gli appelli di Fillon e Hamos a votare Macron non si sono fatti attendere).

La modifica delle percentuali dei singoli partiti, però, suggerisce che forse il rischio era ben maggiore di quello che si attendevano tutti. La prima cosa che balza all’occhio è il crollo del Partito Socialista: certo, nessuno si aspettava un trionfo, ma passare dal quasi 29% delle elezioni del 2012 al misero 6% di ieri sera è una caduta impressionante anche per i più scettici. La disastrosa amministrazione Hollande, non solo nella politica economica ma anche in quella estera, non lasciava comunque immaginare la trasformazione istantanea dei socialisti in una formazione di piccola entità.

Nel frattempo però è accaduto qualcos’altro. Ovvero, la nascita di En Marche!, il movimento “centrista” che pur guardando a un generico “centro-sinistra” liberale, si dichiara in grado di accogliere le istanze del classico elettorato “di destra”. Il tutto dando contro all’èlite politica transalpina “degli ultimi trent’anni, che si è dimostrata incapace di governare il Paese” per usare le parole di Emmanuel Macron stasera.

Dichiarazioni quanto meno bizzarre, considerando che Macron stesso è stato ben noto ministro dell’Economia del governo Valls e ha appoggiato misure decisamente inclini a ciò che il potere economico effettivo difende tanto in Francia come nel resto dell’Occidente, come la Loi Travail.

Ciònonostante, ha fondato un movimento dal nome del tutto seducente e richiamante una presunta riscossa popolare (“In marcia”) costruendo una campagna elettorale su una storia di opposizione che non è mai esistita, e non serve nemmeno un fine politologo per accorgersene.

Il Partito Socialista crolla di circa il 22%, En Marche! esordisce alle consultazioni con un prepotente 23%. Coincidenze o un travaso calcolato di voti, nel timore che potessero sul serio finire nelle mani dei terrificanti “populisti“?

Pare proprio che con Macron l’establishment abbia svolto un’operazione mediaticamente molto furba, considerando la situazione complicata in cui si trovava e i rischi seri che avrebbe potuto correre l’Unione Europea se si fosse trovata in una sorta di “Trump 2” (tralasciando gli infelici esiti successivi, chiaramente).

Ha pubblicizzato un supposto neo-movimento venuto dal nulla (ma in realtà ben spalleggiato da Rotshchild e dai poteri bancari più influenti nel mercato finanziario occidentale) per poter raccogliere i voti dei (legittimamente, sia sempre chiaro) non informati e gli indottrinati alle fesserie “antifasciste” sparate in lungo e in largo contro il Front National.

Gli ha dato un nome evocativo, di effetto, capace di orientare parte dei voti anche solo sulla base di quello (sono più di quanto pensiate, credetemi), soprattutto in un contesto come quello transalpino.

Infine una campagna elettorale condotta come forza che “in un anno cambia la politica francese”, spacciandosi quasi come anti-sistema,  pur essendone l’emanazione diretta e quasi ufficiale.

Certo, affidare tutto ciò in mano a un ministro – peraltro noto – del governo Valls è stato un mezzo azzardo. Ma pare il colpo sia andato tutto sommato discretamente.

Con un solo obiettivo reale rispetto al ciclone tanto temuto: contenere le perdite. Non è così azzardato pernsare che, non si fosse mosso qualcosa tra i partiti liberali e globalisti, per gli anti-sistema sarebbe potuta scoppiare una bolla favorevole enorme: e non solo per la Le Pen, perché non può passare in secondo piano nemmeno il 19% di Melenchon, ovvero un dato pazzesco, indipendentemente da tutto.

C’è chi (come Marcello Foa) non dà la Le Pen per spacciata al ballottaggio, mentre altri rimangono abbastanza inermi. Certo è che i voti dell’FN e del Partito di Sinistra fanno da soli quasi mezza Francia. Non è detto che non voglia dire niente.

Vedremo.

(di Stelio Fergola)