Parigi, la magia dell’ “attentatore noto ai servizi segreti”

Da qualunque lato la si guardi, l’ennesima vicenda terroristica francese lascia sbigottiti per le considerazioni fallimentari che produce. A prescindere dall’ evidente flop del multiculturalismo, di panzane prezzolate e imposte come l’integrazione, parole vuote come accoglienza che nascondono i più biechi interessi, ciò che lascia di sasso è la palese inadeguatezza dello Stato occidentale.

Incapace e debole, soggiogato dai poteri economici, esso è infatti impotente nell’imporre ordine a qualsiasi livello, perfino di intelligence. Si sostiene – anche a ragione – che i servizi segreti lavorino su un piano diverso da quello delle normali forze dell’ordine. In verità spesso si occupano di tutt’altro, ma è fin troppo ovvio che in questo caso gli interessi convergano.

In uno Stato ben attento anche soltanto a proporre modalità di presunti stati di emergenza che nei fatti non scalfiscono nulla delle cosidette libertà individuali e dei “valori dell’occidente”, neanche quando la vita di tutti i giorni potrebbe essere messa in pericolo, i risultati raggiungono questa paradossale constatazione: Karim Cheurfi era noto ai servizi segreti francesi.

Proveniva dal Belgio (chi non ci arriverebbe leggendo il suo nome) e nel 2001 aveva aperto il fuoco su un agente, ferendolo gravemente. Condannato a diversi anni di carcere, venne poi schedato con la “lettera S”, quella che indica gli individui radicalizzati, a rischio .

È lecito porsi una domanda: com’è possibile che un attentatore schedato e conosciuto giri tranquillo per il centro di Parigi senza nessun problema? Il corto circuito della libertà estremista e del dirittocivilismo non cessa di mostrare le sue lacune, questa è la verità. Difese a spada tratta come se fossero l’unica ragione dell’esistenza umana, come se non esistessero cose più importanti.

A tutti gli effetti un assolutismo, protetto da analisi dogmatiche e poco inclini ad analizzare la realtà. Paolo Mieli ieri sera a Piazza Pulita si accodava al commentino più di moda in seguito agli ultimi attentati, affermato in maniera simile da Alessandro Orsini e Luca Telese in occasione di quanto avvenuto a Londra: “Dobbiamo essere contenti dei miglioramenti, non sono stati uccisi civili. In qualche maniera è un progresso”.

Ora, Orsini e Telese si erano concentrati su altro, ma il succo era lo stesso: “Dobbiamo essere contenti, ormai sono cani sciolti e lo spirito organizzativo dell’ISIS è morto”.

La libertà senza limiti è la prima ragione della morte di una società. Probabilmente chi la difende ai piani alti, soggiogando popolazioni intere inevitabilmente attratte da un punto di vista teorico, non aspetta altro o quanto meno vi è indifferente.

Ma le popolazioni stesse iniziano a stufarsi perché, banalmente, della libertà non ce ne si fa nulla se non è accompagnata dalla più ovvia delle concessioni: quella alla vita e alla tranquillità. E se un ordine costituito non è in grado di garantirle nemmeno quando conosce vita, morte e miracoli di un soggetto a rischio, beh, c’è qualcosa che non va.

(di Stelio Fergola)