Tutti i dubbi sulle proteste in Romania

Bandiere con pugni chiusi, il simbolo di Otpor (Отпор) ovunque. Per chi non sapesse di cosa si parla, Otpor (Resistenza) è il nome dell’organizzazione finanziata da George Soros in occasione delle numerose “rivoluzioni colorate” diffuse dall’ottobre del 1998 in Serbia (che nel giro di due anni vedeva cadere il governo di Milosevic) al 2003 “delle rose” in Georgia, e al 2004 ucraino (poi protrattosi con varie lotte intestine al governo di Kiev fino alla crisi del 2014).

Lo scopo è sempre lo stesso: destabilizzare i governi e le élite politiche alla testa di un dato Paese, finanziando manifestanti e allargando le maglie della protesta ad echi spontanei, instaurare un governo “amico” al blocco occidentale, isolare ancora di più la Russia.

In Romania le proteste contro la legge “salva-corrotti” promossa dal governo di Sorin Grindeanu si sono svolte al grido di “libertà” tipico delle rivoluzioni colorate.

Gli elementi di contatto esistono. Certo è molto strano che dopo il ritiro del decreto da parte dell’esecutivo, le proteste siano continuate ed oggi puntino dritte alle dimissioni del governo. L’obiettivo pare chiaro.

Un governo che è formato dalla coalizione tra gli ex-comunisti del Partito socialdemocratico (Psd) di Liviu Dragnea e i liberali dell’Alde. Il decreto depenalizzava i reati di corruzione se le somme ricevute irregolarmente non arrivavano all’equivalente di 48mila dollari. E il colpito, a norma bloccata, sarebbe proprio Dragnea, i cui rapporti con Putin non sono scadenti.

Manca l’elemento direttamente anti-russo: ecco perché il quadro in Romania è ancora poco chiaro. Il Paese è ordinato secondo il modello semi-presidenziale in cui, com’è noto, il presidente ha un ruolo grosso modo paritario rispetto a quello del capo del governo.  Ora il presidente è Klaus Iohannis e il primo ministro è, per l’appunto, Sorin Grindeanu.

I simboli sparati qui e lì dimostrano che lo “zampino filantropico” non dovrebbe mancare neanche in questa situazione, ma Iohannis e il Paese non hanno attuato una politica filorussa negli ultimi anni. Anzi. Nel giugno dello scorso anno il presidente aveva lanciato accuse molto dure al Cremlino, ribadendo che le mosse della NATO a Bucarest sarebbero proseguite senza alcuna ingerenza da Mosca.

Che poi l’ambiguità a Bucarest sia una tradizione secolare è fuor di dubbio, quindi non  c’è da stupirsi nemmeno delle domande che si pongono tutti sul governo rumeno. La cosa sicura è che chi crede alle proteste genuine ha sbagliato completamente pianeta: sono la più grande illusione che esista nel mondo contemporaneo, sempre fomentate da qualcuno e per delle ragioni precise. Senza certi imput, il popolo non si spreca nemmeno a usare i pennarelli per scrivere uno striscione.

La sensazione, al momento, è che sia una mossa preventiva. Qualcuno ad Ovest potrebbe aver fiutato un riavvicinamento rumeno alla Russia (magari attuato da Grindeanu e Dragnea), dopo le vittorie elettorali di Rumen Radev in Bulgaria e Igor Dodon in Moldavia, entrambi filo-Cremlino: forse meglio mettere in cassaforte Bucarest, prima di perdere un altro pezzo fondamentale?

Vedremo.

(di Stelio Fergola)