Nazi-maoismo: il ’68 diverso che non fu possibile

“Noi ce ne stavamo a Legge, loro a Lettere. Quando calava la sera, scoccava l’ora delle partitelle di calcio: rossi contro neri. Lettere era piena di bandiere rosse, a Legge invece un fascio repubblicano […] sovrastava l’ingresso della facoltà… Alle assemblee oceaniche di Lettere, indette nel nome di Castro, Ho Chi Minh, noi rispondevamo con affollate assemblee dove si discutevano i temi del fascismo, dell’Europa, della rivoluzione”Adriano Tilgher

Chiunque abbia frequentato una facoltà di Lettere e Filosofia può immaginare quanto l’idea di un’assemblea dove sia citato Che Guevara insieme a passi di Evola e Guenon risulti poco credibile. È la storia del nazi-maoismo, il racconto di un reale quanto effimero tentativo dei giovani missini, o almeno di una parte, d’inserirsi attivamente nei moti studenteschi del ‘68.

Protagonista dei fatti fu la Caravella, la sezione del FUAN della Sapienza, e l’inedito dialogo instaurato con il nascente movimento studentesco, che provocò un duplice cortocircuito, politico e generazionale. Da un lato, infatti, si entrava in collisione con la “casa dei padri”, quell’MSI che nel corso degli anni Cinquanta si era ritagliato su misura il ruolo di partito atlantista, nel segno del conservatorismo e della difesa dell’ordine costituito democristiano; dall’altro si palesava una frattura tra le giovani leve e quei padri che avevano militato nella Repubblica Sociale Italiana, ai cui occhi appariva inconcepibile una convergenza con i “figli del tradimento”.

Il superamento dell’anticomunismo acritico portò a una convergenza con una parte della sinistra giovanile, specie quella “cinese”, che, ripudiando un PCI imborghesito e oramai parte integrante del Sistema, volgeva ora lo sguardo all’Estremo Oriente, ai vietcong, e alla Cina maoista. Un grande drago cinese di cartapesta con la scritta “la battaglia dell’antifascismo è la battaglia della retroguardia”, venne costruito alla Sapienza proprio per affermare l’inattualità della tematica resistenziale.

Ecco, dunque, che tra la fine del ’67 e i primi mesi del ’68 questa destra giovanile dissidente seppe dimostrare un dinamismo, che coinvolse anche formazioni extraparlamentari, come Ordine Nuovo, Primula Goliardica e Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie.

Nel clima intellettuale effervescente di quei giorni trovarono spazio iniziative universitarie senza precedenti per il mondo neofascista, come la rappresentazione teatrale dei testi di scrittori francesi collaborazionisti quali Céline e Drieu La Rochelle, ma anche alchimie intellettuali contraddittorie quanto sorprendenti: il mito di Che Guevara e della guerriglia rivoluzionaria sudamericana che attualizzava il nazionalismo anarchico de I Proscritti di von Salomon; l’Evola di Cavalcare la Tigre che affiancava L’uomo ad una dimensione di Marcuse, il guru della beat generation.

Erano chiamati nazi-maoisti dal “fuoco amico” della stampa di destra (Il Secolo d’Italia, Il Tempo, Il Borghese), che tra indifferenza e pubblico ripudio malcelava il generale imbarazzo. Lo stesso Evola e i suoi discepoli, Rauti e Romualdi in primis, ne presero le distanze, nonostante quei giovani dissidenti fossero convinti di fare propria l’analisi evoliana di una società occidentale decadente e ormai irrecuperabile.

Tanto valeva, dunque, fare tabula rasa, sovrapponendo l’elemento nazionale, di cui erano portavoce, con quello sociale dell’ala radicale del movimento studentesco, quella sinistra rivoluzionaria, che aveva presto scavalcato il tema della rivendicazione studentesca per una critica più generale della società capitalistica. Obiettivo finale: realizzare quell’unità generazionale, fuori dagli schemi dei partiti tradizionali, animata da una comune “tensione rivoluzionaria” nei confronti del potere costituito.

L’occupazione di Giurisprudenza, da parte dei “neri”, congiunta a quella di Lettere, da parte dei “rossi”, fu l’esito di una collaborazione che aveva dato i suoi frutti negli scontri di Valle Giulia del 1° marzo del 1968, dove i ragazzi della destra extraparlamentare erano schierati in prima linea (come testimoniano numerose fotografie), oltre all’ormai costante partecipazione dei giovani di destra alle assemblee del movimento studentesco.

Un fatto, che lungi dall’essere episodico e circoscritto al mondo universitario romano, si stava diffondendo in altri atenei. Per la dirigenza dell’MSI, sino a quel momento impotente e scavalcata su tutti i livelli, era il momento di intervenire, di riportare ordine e chiarezza. Il 16 marzo 1968 i Volontari Nazionali di Almirante, sostenuti dagli allievi della scuola pugilistica di Caradonna, marciarono sulla Sapienza, prima costringendo con la forza i nazi-maoisti di Legge ad interrompere l’occupazione, poi ingaggiando con la sinistra a Lettere un durissimo scontro, che si risolse nel pomeriggio solo con l’intervento della polizia.

Due facoltà messe a ferro e fuoco, ma “il Tricolore era stato riportato all’Università”. Fine dei giochi, “l’alternativa in doppiopetto” dell’MSI aveva ricreato il naturale stato delle cose. Fu un evento estremamente traumatico per molti militanti di destra: alcuni furono riassorbiti nel FUAN, molti altri passarono a sinistra, altri ancora scelsero la strada extraparlamentare. Il ’68 poteva, forse, prendere una piega diversa?

Per quanto contraddittoria ed effimera, fu soprattutto una grande occasione persa: da quel giorno tutte le organizzazioni di destra furono estromesse dal movimento studentesco. Come commentarono i militanti della Caravella, “il 16 marzo il regime ha vissuto la sua giornata trionfale […] perché quel giorno all’Università di Roma tutti, dai poliziotti a D’Avack [il rettore], dai dirigenti missini a quelli comunisti, avevano la faccia di Moro”.

(di Daniele Dalla Pozza)