Donald Trump sfida l’egemonia tedesca

Una mossa di Trump che ci fa capire meglio quali sono gli entusiasmi facili, ma che inducono all’errore, mi sembra sia stata compiuta in questi giorni. E dimostra quanto ho affermato fin da subito: molto bene che la Clinton abbia perso le elezioni – anzi una vera boccata d’ossigeno che ci ha salvato da una fine senza nemmeno alcun sussulto preagonico – ma nessun particolare entusiasmo traboccante come quello che certuni stanno dedicando alla vittoria di Trump.

Il suo atteggiamento sarà comunque positivo se veramente muterà gli accenti dell’azione della Nato e se prenderà le distanze dall’attuale UE, voluta da quei successori dei “padri dell’Europa”, che – ormai lo sappiamo bene dagli studi di Joshua Paul, ricercatore alla Georgetown University – erano tutti ampiamente finanziati e “istruiti” dagli Stati Uniti. Tuttavia, la sua recente dura critica alla Merkel e dunque alla Germania come vera sfruttatrice della UE mostra che anche lui cerca di ingannarci circa l’autentico padrone degli europei a partire dalla seconda guerra mondiale (e, per una parte degli stessi, dal crollo dell’Urss e la fine del mondo bipolare).

Penso che oggi si debba prendere atto della negatività della politica tedesca, ma non certo perché la Germania ha sottomesso l’Europa; come detto più volte, ha inteso mostrare agli Stati Uniti che poteva essere il loro vero “maggiordomo” tra i “camerieri” europei. E ha pure voluto mettere la tradizionale, e anche un po’ “montata” serietà dei tedeschi, a garanzia di servizi adeguati agli Usa che altri paesi europei non avrebbero saputo offrire. Indubbiamente, accade a volte che il maggiordomo possa scontentare i servitori e se li metta contro. E può essere che non ottemperi a qualche ordine del padrone, perché convinto che certe mosse di quest’ultimo indeboliscano la sua autorità presso gli altri “domestici” e mettano in discussione il suo ruolo di capo degli stessi.

Il problema principale non è comunque la Germania, ma proprio la nostra settantennale sudditanza agli Stati Uniti. Fin che c’è stata l’Urss, si poteva anche giocare sui contrasti bipolari per qualche barlume d’autonomia, del tutto limitato e alla fin fine piuttosto inessenziale. Oggi, la situazione è diversa. Il mondo è abbastanza “movimentato”.

Non ci sono le lotte di liberazione dall’imperialismo in paesi tipo Vietnam e altre “periferie” del terzo mondo, mentre nel primo vigeva la cristallizzazione imposta dal confronto tra due superpotenze, di cui una era però in lenta discesa finita in crollo improvviso e imprevisto. Oggi siamo assai probabilmente avviati ad un effettivo multipolarismo tra potenze ancora assai differenti come forza (gli Usa sono al momento largamente in testa), che creano tuttavia vere ebollizioni nella politica mondiale.

Non ci sono insomma le guerre “antimperialiste” (con l’imperialismo confuso come neocolonialismo), ma vere mosse e contromosse – al momento non ancora dirette ad un generale confronto definitivo per una nuova reale supremazia – che rendono il “territorio” del confronto mobile, sconnesso, frastagliato.

In una situazione del genere, che si avvia a qualche somiglianza (gli storici vorranno infine studiarla seriamente?) con la precedente epoca multipolare e poi policentrica (1870-1945), si ricomincia con la frenetica attenzione rivolta alle crisi economiche; tipo appunto la stagnazione del 1873-96, le due grandi crisi finanziarie (con successivi esiti negativi sull’intera attività economica) del 1907 e 1929. Credo si debba capire che tale tipo di crisi è il risultato di superficie (il “terremoto”) dei sommovimenti più profondi (“tettonici” o come diavolo si chiamano) di tipo POLITICO e BELLICO (ad es. quelli del 1914-18 e del 1939-45).

Mi rendo conto che oggi le popolazioni del primo mondo – avendo conosciuto per tanti decenni al massimo “recessioni” accompagnate però da un indubbio aumento del tenore medio di vita (pur con differenze enormi tra alto e basso) – sono più che preoccupate dei “terremoti” di superficie. Tuttavia, grave è l’assenza di forze politiche di ottima levatura e capaci quindi di afferrare la rilevanza dei sommovimenti “tettonici”, che preparano ben altri eventi.

Si facciano pure le riunioni di economisti per capire come ridurre i guai della possibile, adesso pare addirittura probabile, uscita dall’euro (dell’Italia o anche di altri?). Per carità, niente in contrario. Tuttavia, si compie un errore clamoroso se si dà credito all’accusa che i nostri guai dipendono soprattutto dal comportamento della Germania. In tal caso, ci precludiamo o comunque rendiamo meno efficace un collegamento con forze, chiamiamole ancora sovraniste per il momento, che vogliano (ma realmente però) riprendere in mano le sorti della popolazione tedesca senza più prestare servizi da maggiordomo agli Usa.

Il problema cruciale è politico, lo ripeterò cento volte, non economico. Se la nuova Amministrazione trumpiana sarà realmente intenzionata e in grado di mettere un po’ sottosopra la Nato – non certo per liquidarla completamente, semmai per mutarne prospettive e strategie ancorate tuttora alla vecchia politica di “campo” contro “campo” (quello presunto socialista dei tempi che furono) – bisogna approfittarne per sondare la possibilità di mutamenti nei nostri comandi militari. Sarà poi necessario investire pesantemente i Servizi (che credo fortemente inquinati da quelli americani) e smantellare tutta una serie di organizzazioni assai ambigue: anche finto-culturali (di influenza predominante statunitense e piene zeppe di altri spioni) o filantrope (peggio che peggio) o non so cos’altro ancora. E’ poi indispensabile porre in atto una politica estera che non si limiti a qualche affermazione di principio favorevole alla Russia, principale possibile nostro alleato (non nuovo padrone) nei confronti della prepotenza statunitense.

Non è un caso che Trump abbia deciso di abbandonare l’ostilità obamiana per attuare un confronto assai più morbido con tale paese. Il nuovo atteggiamento degli Stati Uniti dovrebbe servire a rendere meno importanti per la Russia rapporti stretti con la Cina, ma anche con paesi europei (in specie dell’ovest vista la tradizionale diffidenza anti-russa di quelli dell’est).

Insomma, è chiaro che una nuova politica estera dei paesi della nostra area non può essere condotta da malfidi organismi pseudo-unitari, bensì da forze politiche estremamente determinate, che riescano a scalzare (anzi a frantumare) l’attuale predominio della “sinistra” (e anche di buona parte della “destra”), la principale artefice della subordinazione agli Usa. Se un domani forze di tal genere si impadronissero del potere e annientassero le forze avverse in alcuni paesi europei (non in tutti, basterebbe in quelli più forti), esse dovrebbero stabilire reciproci contatti per una nuova alleanza in funzione di quella reale indipendenza, che manca dal 1945.

Ultima avvertenza. Smettiamola di sperare in chissà che proveniente dagli Stati Uniti. E’ perfettamente logico, e giusto, che un paese di siffatta potenza (ancora ben superiore a quella degli altri) persegua i suoi interessi. Se fossi cittadino americano, mi incazzerei nel vedere il mio governo tentennare e perdere di vitalità e forza propulsiva. Semplicemente, com’è del resto accaduto altre volte negli Usa, alcuni centri di potere ritengono ormai obsoleta e inefficiente la vecchia politica di potenza delle passate Amministrazioni.

Questo, vorrei ricordarlo, è accaduto anche con Kennedy e poi con Nixon (e Kissinger, che oggi mi sembra piuttosto favorevole alla svolta di Trump). Sappiamo com’è finita allora; vedremo adesso. In ogni caso, gli Usa restano la più grande potenza e come tale agiranno o in un modo o nell’altro. Non sogniamo improbabili “ere di pace” con l’avvento di un nuovo personaggio, che non comanda da solo. Dobbiamo via via capire quali gruppi di potere hanno realmente in mano la direzione della politica di quel dato paese; e quali sono le strategie da tali gruppi predilette. Abbiamo molto da studiare.

Cerchiamo soprattutto di capire infine che prima vengono le strategie politiche, poi i mezzi per realizzarle. Per questi mezzi è certamente utile il “vile denaro”, nessuno lo nega. I più potenti sono però quelli bellici, informativi, di corruzione e infiltrazione tra le fila dell’avversario (anche qui occorrono molti “schei”, ma solo se spesi bene per personale preparato a tradire eseguendo le mosse più appropriate al tradimento), la formazione di organizzazioni pronte ai più bassi servigi come sono state tutte quelle europee fino alla ignominia completa della UE. Ecc. ecc.

(di Gianfranco la Grassa)