Antirazzismo vuol dire anti-bianchi!

Discutere del problema immigrazione sta diventando sempre più difficile. Definizioni come radical chic e buonista sono ormai entrate nel quotidiano. Dietro a questi termini, a dire il vero un po’ abusati e troppo generici, si cela una vasta schiera di personaggi. Esiste, in questo variegato mondo, un minimo comune denominatore, ovvero la propensione a utilizzare il termine razzismo come arma. Come se fosse una sorta di clava da utilizzare contro l’avversario politico e quasi mai un argomento di discussione serio. Privatamente, magari, riconoscono pure gli effetti che un’immigrazione incontrollata produce in una realtà sociale, ma li negano.

Poi ci sono gli altri, quelli che questa sorta di sindrome di Stoccolma collettiva la guardano ancora sbigottiti. Quelli che non si rassegnano alla negazione dei confini esterni, con le conseguenze di doversi rintanare sempre più al centro delle città, fino alle estreme conseguenze di doversi ritrovare a osservare piazze recintate da blocchi di cemento e mezzi blindati. Le persone che hanno conservato il raziocinio, con l’immigrazione spesso hanno a che fare tutti i giorni. Hanno un collega africano, la badante ucraina, l’amico albanese, la fidanzata o il fidanzato sudamericano, il compagno di allenamento romeno e via discorrendo. Persone che nella stragrande maggioranza dei casi non giudicano e non respingono alcunché. Sono i bistrattati “italiani medi”, con i loro difetti e con il loro pregio maggiore: la curiosità.

Uomini con delle domande, dei timori, magari con qualche uscita fuori luogo e la battuta stantia sullo straniero, ma quante volte veramente razzisti? E’ così strano avere un’opinione sui flussi incontrollati e allo stesso tempo non “temere” il singolo straniero con cui entriamo in contatto? E’ davvero impensabile essere sinceramente affascinati dalle culture diverse ma opporsi al melting pot forzoso voluto dai nuovi mondialisti? E’ razzista approvare il multiculturalismo su scala globale e negarlo su scala nazionale? Secondo gli scienziati del politicamente corretto, che purtroppo stanno vincendo la battaglia d’opinione, tutto ciò è comunque irrimediabilmente razzista.

Tuttavia, gli auto decretati antirazzisti, coscientemente o meno (scusate se vogliamo ancora sperare che non tutti stiano praticando l’eutanasia europea con cognizione di causa), in realtà altro non non sono che anti-bianchi. Il primo problema è proprio questo: non l’immigrato in sé, ma l’attitudine mentale anti-bianchi. Attenzione a non fare confusione: esistono, evidentemente, anti-bianchi appartenenti a gruppi etnici non bianchi, anche se non sono molto pubblicizzati (e quelli che lo sono vengono scusati con ogni pretesto). Al momento, però, i più pericolosi, a livello culturale e politico, sono gli anti bianchi…bianchi. Liberals, antifascisti, centri sociali, leftisti assortiti. Sono molti i modi in cui questi individui si fanno chiamare, ed è grandissimo il potere culturale che riescono a esprimere.

Sono organizzati, provengono da decadi di dominio e la loro corsa solo recentemente è stata rallentata dalla crescita di una nuova identità europea. Questa categoria di persone, intimamente, crede che in fin dei conti i bianchi siano essenzialmente cattivi e conseguentemente che in qualche misura meritino di estinguersi. Si prostrano culturalmente a qualsiasi attacco esterno, favoleggiano di multiculturalismo senza alcuna attinenza con la realtà, enfatizzano storie strappalacrime per le quali “il web si commuove”, non mancano di rimarcare i “peccati capitali” della razza bianca. Qualcuno a questo punto potrebbe legittimamente domandarsi quale sia questa “razza bianca” e perché nostro malgrado dobbiamo ancora fare i conti con questa terminologia.

La risposta è piuttosto semplice: avreste difficoltà ad indicare una nazione “non bianca”? Ecco, ora provate a pensare ad una nazione “non nera” o “non gialla”. Scoprirete, immediatamente, di essere dei razzisti. Nessuno rimprovera i giapponesi per la loro spiccata propensione a mantenere un’omogeneità etnica. Solo un folle si sognerebbe di contraddire un’affermazione come “Africa agli africani”. “Finlandia ai finlandesi”, invece, già suonerebbe un po’ razzista. Figuriamoci “Europa agli europei”.

Perché? A questo punto l’anti-bianchi vi risponderebbe, probabilmente, menzionando le crociate, il colonialismo o il massacro dei nativi americani. Non, certamente, l’impero turco ottomano o Gengis Khan. La procedura di colpevolizzazione funziona a senso unico, come giustificativa per la massiccia immigrazione in Paesi storicamente bianchi. Se mille uccidono in nome di Allah la religione non c’entra, se un bianco fa una strage (anche senza urlare “uccido per Dio”) , allora “ecco! Anche i cristiani uccidono”. Questo stato mentale contraddittorio ha dei tratti patologici, ma è piuttosto facile da contestare. L’anti-bianchi generalmente è molto aggressivo e fa leva principalmente sulle parole cardine del “razzismo” e “fascismo”. Se il suo interlocutore è in grado di emanciparsi da tali concetti, molto probabilmente egli entrerà in cortocircuito.

Esempi? “Non esistono le razze, tutti siamo uguali”, dice il benpensante. Eppure, non ha difficoltà ad indicare i bianchi come razza responsabile di azioni negative e razziste.
“Il multiculturalismo è una risorsa”. Eppure, non esiterebbe un secondo a negare la propria cultura per mischiarla a tutte le altre, rincorrendo l’utopia del mondo “tutto uguale color arcobaleno” (che i suoi protetti raramente vorrebbero, peraltro). “Il colore della pelle non conta”. Eppure, non vede con gli stessi occhi l’ immigrazione “da” o “verso” i paesi bianchi. “Uguali diritti per tutti”. Eppure, i bianchi non avrebbero il diritto di tutelare la propria cultura, la propria tradizione, i propri confini. Un nigeriano ovviamente sì, un francese no.

Se un leader africano dichiarasse: “Non vorrei mai che l’Africa diventasse a maggioranza bianca” sarebbe razzista? E se lo dicesse Marine Le Pen? Perché accade tutto ciò? Forse perché l’antibianchi, dentro di sé, è convinto di essere superiore, di avere soluzioni e verità in tasca. Crede di essere depositario del bene anche per i popoli “più sfortunati”.
E’ convinto, in definitiva, di essere migliore di altri, di avere il potere di “integrare”, di spezzare il pane del sapere su quelli che non la pensano come lui. L’antibianchi è un razzista nei nostri (e nei suoi) confronti. Come tale dobbiamo trattarlo.

(di Danny Dusatti)