Fascismo e antifascismo: centri sociali e intellettuali

“…In terzo luogo, perché la cultura dei centri sociali è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta (SPC), che li può sempre usare come potenziale guardia plebea antiberlusconiana a buon mercato. Costoro, composti di semianalfabeti intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume (ed un Adorno capirebbe al volo la correlazione fra lo stordimento e la bestialità politica ma oggi di Adorno non ce ne sono più), hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci.

Ma il paranoico non è un interlocutore, perché ascolterebbe qualunque argomento come un furbesco tentativo di infiltrazione. In quarto luogo, perché la cultura azionista antifascista, maggioritaria presso i cosiddetti “intellettuali” italiani, si basa su di un presupposto moralistico di superiorità morale, assolutamente inesistente anche se per ora del tutto inestirpabile.

Costoro sentono il bisogno di sentirsi superiori, intellettualmente e soprattutto moralmente, e quindi non possono abbandonare questa comodissima “rendita di posizione”. In assenza completa di fascismo, essi hanno bisogno dell’antifascismo, perché il loro essere soltanto anti è un alibi permanente alla loro vuotezza integrale di identità e di proposte”.

(di Costanzo Preve)